Edizioni critiche

L’EDIZIONE CRITICA è la pubblicazione a stampa di un’opera letteraria presentata quale risultato di un rigoroso lavoro di ricerca, raccolta e comparazione dei testimoni e delle fonti (manoscritte e a stampa), di ricostruzione congetturale e induttiva del testo nella sua forma originaria (quando non è conservato alcun originale) o di restituzione critica dell’originale (quando questo è conservato in una o più redazioni), grazie alla scelta delle varianti interne al testo e intercorrenti tra testimoni, all’individuazione ed emendazione delle interpolazioni e degli errori (o innovazioni) trasmessi dalla tradizione, all’interpretazione e alla ricostituzione delle lezioni mancanti o incomplete.[1] L’edizione critica si caratterizza, perciò, non solo per la fissazione del testo originale, ma anche per l’esplicitazione del percorso ecdotico che ha condotto il filologo a tale restituzione. Il curatore (o editore critico) rende edotto il lettore, infatti, del lavoro compiuto, del metodo seguito e dei criteri adottati durante l’approntamento dell’edizione, con l’allestimento di apposite e ben determinate sezioni e/o unità di contenuto: l’apparato filologico (o critico), la nota al testo, l’introduzione, le note esplicative e di commento, l’appendice, la bibliografia. Al testo restaurato e fissato (testo critico) si deve aggiungere, dunque, l’apparato filologico (o critico), nel quale sono accolte – a piè di pagina o in coda al volume – le lezioni portate dalla tradizione (o da una parte di essa) che divergono (in quanto considerate innovazioni non autorali) da quelle promosse a testo dal curatore (in quanto considerate autentiche) e che ha l’importante funzione di documentare lo stato della tradizione sia di copia (apparato sincronico) che d’autore (apparato diacronico).[2] Lanfranco Caretti definì diacronico[3] l’apparato nel quale sono allogate le varianti d’autore, sincronico[4] quello in cui trovano invece accoglienza le varianti di tradizione (in quanto indicano le innovazioni dei vari copisti portate dalla tradizione del testo). La nota al testo rappresenta in sintesi la memoria storica dell’edizione, perché raccoglie in modo essenziale e schematico molte delle informazioni e delle spiegazioni relative alla tradizione diretta e indiretta del testo (raccolta, luogo di conservazione, talvolta descrizione e storia dei testimoni, con determinazione del valore di ciascuno di essi e dei rapporti tra loro intercorrenti), alle più importanti questioni filologiche e linguistiche incontrate e affrontate dall’editore in sede di allestimento, agli interventi emendatori e alle scelte metodologiche operate nella constitutio textus, alla descrizione ed esplicitazione delle norme redazionali, delle peculiarità grafiche e dei criteri editoriali, alle lezioni più o meno controverse o marginali non accolte né a testo né in apparato.[5] L’introduzione (o praefatio o prolegomena) è il saggio iniziale del volume (anche se in realtà si caratterizza per essere il momento conclusivo di un articolato lavoro di analisi e di sintesi e la fase finale di un lungo processo rielaborativo) e rappresenta la sezione nella quale l’editore espone e commenta diffusamente e approfonditamente i contenuti ecdotici, esegetici ed ermeneutici dell’edizione, calando nelle giuste coordinate, storiche e culturali, letterarie e linguistiche, l’opera restituita e indagata, chiarendo e stabilendo, alla luce degli studi fatti, i rapporti intertestuali e contestuali, illustrando, in ultimo, i risultati raggiunti dopo aver ricordato al lettore gli studi precedenti.[6] La bibliografia è l'elenco più o meno ragionato delle pubblicazioni utilizzate e citate per la e nella stesura dell’edizione. In alcune edizioni può capitare di trovare, oltre alle menzionate, altre sezioni che aiutano a offrire al lettore il quadro informativo ed argomentativo più completo. Queste unità, non obbligatorie, sono: le note esplicative e di commento storico, linguistico, filologico e letterario (collocate a piè di pagina o a fine libro in una seconda fascia o comunque in un’apposita sezione, diversa da quella che accoglie l’apparato critico); l’appendice, parte aggiunta, accessoria e integrante, collocata in cauda per spiegare meglio tematiche, riflessioni e lezioni non completamente esplicitate nel testo, oppure (come accade spesso nelle edizioni genetiche, per una più chiara e completa restituzione della tradizione testuale e una migliore leggibilità del percorso emendatorio significativo superstite) per accogliere, in un ulteriore apparato critico (in questo caso diacronico, reso secondo una configurazione sinottico-comparativa), alcune consistenti lezioni e ampie parti di testo infarcite di correzioni e di varianti non collocate, perché non collocabili, nel primo apparato. L’edizione critica, in quanto scientifica, spesso sancisce e rappresenta – per la sua alta affidabilità costitutiva – l’ufficialità del testo restituito e per autorevolezza non di rado diventa la fonte, il modello testuale da riprodurre, per tutte le altre edizioni, determinando di fatto la vulgata editio, l’edizione divulgata, il testo fissato e adottato.

 

[1] Dal greco ékdotos, «edito», ékdosis, «edizione» e dal latino edĕre, «far uscire, far conoscere ufficialmente, pubblicare»).

[2] L’apparato critico negativo (o implicito) è invece quello che accoglie solo le lezioni respinte dall’editore (in quanto considerate innovazioni non originali), mentre nell’apparato critico positivo (o esplicito) si collocano sia le lezioni promosse a testo che quelle rifiutate, separate da una parentesi quadra ( ] ).

[3] Diacronico perché, relativamente alla storia interna del testo, è rappresentativo della sua evoluzione nel tempo ad opera dell’autore. Attiene dunque alla fenomenologia dell’originale. Per Gianfranco Folena apparato dinamico, per Dante Isella genetico o evolutivo a seconda che fissato un testo base, si possono avere varianti d’autore ad esso anteriori (genesi) o posteriori (evoluzione).

[4] Per Folena apparato statico. Attiene alla fenomenologia della copia.

[5] In alcune antiche edizioni gli argomenti generalmente trattati nella nota al testo si possono trovare contenuti nell’introduzione.

[6] Per le introduzioni alle edizioni critiche, come del resto a tutte le altre edizioni, si definisce l’architettura argomentativa in relazione all’oggetto di studio e alla propria impostazione metodologica e critica

 

 

 


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